Nuovo umanesimo senza frontiere: intervista a Sandro Calvani

Intervista realizzata da Silvio Mengotto

Nella Sala Gialla in Piazza Affari, lo scorso 20 novembre ’16, Sandro Calvani, autore del libro Misericordia, inquietudine e felicità (Editrice Ave) ha sostenuto la possibilità di costruire un nuovo umanesimo senza frontiere. Un cammino che trova in papa Francesco un sostegno e una riflessione autorevole sulle dinamiche dello sviluppo del pianeta e della felicità dell’uomo, sviluppate nella recente enciclica sociale, più che ecologica, della Laudato si'. Occorre sviluppare più attenzione al pericolo concreto di rubare il legittimo futuro ai figli e nipoti. Eliminare o rifiutare il problema della complessità non giova a nessuno, in primis a chi lo cavalca in una propaganda spavalda e inconsapevole delle vere conseguenze a medio e lungo termine.
È necessario sviluppare la democrazia urbana. «Da quasi un secolo – dice Sandro Calvani - conosciamo diverse dichiarazioni di interdipendenza dei popoli. Un punto essenziale a tutte le dichiarazioni di interdipendenza è il riconoscimento che nessuna comunità, villaggio, città o nazione potrà godere la pienezza della felicità sostenibile, fino a che anche tutti le altri parti dell’umanità l’avranno raggiunta anche loro. Da tale certezza nasce il movimento dell’interdipendenza globale ispirato da Benjamin Barber, che mette in rete tutti i comuni e le città che accettano e promuovono una democrazia giusta e indipendente. Per esempio negli Stati Uniti i comuni di Seattle, Chicago e New York hanno dichiarato il loro diritto di essere “santuario” inviolabile per rifugiati e immigrati illegali. In pratica sono già oltre le leggi e la democrazia nazionale, oltre i vecchi confini interpretati come muri impenetrabili tra i popoli».

Quali sono i motivi per cui dopo il clamore oggi si parla poco dell’enciclica Laudato si’ ? «Viviamo in un’epoca nella quale l’informazione (compresa la disinformazione) e la documentazione su ogni grande tematica globale sono cresciute in modo impressionante rispetto a pochi decenni prima. Per esempio nel mondo circolano oggi 130 milioni di libri diversi, ogni mese 409 milioni di persone leggono più di 23,8 miliardi di pagine sui blog e altre 65 milioni di persone scrivono sui social network professionali articoli su tematiche internazionali, ai quali i lettori aggiungono 45 milioni di commenti. Su temi di interesse globale le Nazioni Unite e le agenzie o i programmi associati alle Nazioni Unite hanno prodotto 104 milioni di documenti. Se cerchiamo la parola “sviluppo” in inglese su un motore di ricerca in internet troviamo oltre 2 miliardi e 500 milioni di pagine o documenti dove viene citata la parola sviluppo. Sono 2 miliardi e 200 milioni quelli che citano la “natura”. Si tratta di semplici indicatori che danno l’ordine di grandezza della foresta di informazione e opinioni in cui inevitabilmente si inserisce chiunque scrive qualcosa oggi. Dunque, anche se l’autore è il papa, si può dire che ogni sua opinione entra in concorrenza con decine di migliaia di altri testi sullo stesso tema. Non era così al tempo in cui l’enciclica Populorum Progressio diveniva famosa come nuova visione sui diritti di sviluppo dei popoli. Laudato si’ è inoltre un documento che si colloca nell’ambito delle analisi di innovazione sociale, che è probabilmente la tematica con maggior interesse e dunque informazione e documentazione a livello globale. Ci sono nel mondo circa 30.000 università e quasi tutte hanno un corso nel campo della sostenibilità ambientale e/o dell’innovazione sociale. Ciò significa che ogni mese si pubblicano decine di libri di testo ed ogni anno centinaia di tesi di laurea su questi temi. In fondo non importa molto che si parli poco o tanto della Laudato si’. Importa che i temi e le preoccupazioni che essa contiene divengano priorità assolute dei governi, delle imprese e delle società civili».

L’Occidente, cioè il 20% della popolazione mondiale, consuma oltre l’80% delle risorse mondiali. Non crede che questa cifra misuri anche l’enorme divario culturale per costruire un modello di sviluppo, e di consumo, sostenibile?  «Sì certo, c’è un enorme divario culturale da superare per umanizzare la globalizzazione. Se la Coca-Cola o McDonald arrivano anche nei Paesi dove la gente non ha accesso all’acqua e al cibo, vuol dire che la finanza e il business governano in modo prepotente le scelte essenziali per costruire un nuovo umanesimo equo e solidale per tutta l’umanità. Un mondo futuro con una disuguaglianza ridottissima e i diritti umani rispettati quasi ovunque è certamente prima di tutto una sfida culturale “intelligente” per l’Homo sapiens».

Come trasformare le inquietudini e le paure in cammini di speranza?  «Forse - come dicevamo all’inizio - il mondo di oggi ne ha anche troppe di piste, mappe e proposte per un nuovo umanesimo felice, giusto e sostenibile. Ci sono milioni di buone pratiche che rispondono alle domande di come fare. Di cammini di speranza bisognerebbe parlarne di meno e farne di più. Gli esempi vissuti possono convincere e convertire. Se una famiglia del centro Papa Giovanni XXIIl accoglie sei bambini orfani o in difficoltà, altre famiglie possono imitarla. Se un vescovo abbraccia un imam musulmano e insieme vanno a fare la spesa di alimenti per i poveri, altri 300 vescovi potrebbero fare lo stesso.  Un nuovo umanesimo globale attento - come in un ospedale da campo - ad ogni persona ferita, povera per le strade del mondo si compone di miliardi di atti e buone pratiche quotidiane. Le comunità cristiane sentono l’obbligo dello spezzare il pane insieme, nell’eucarestia almeno una volta a settimana, dimenticandosi troppo spesso che il pane, il corpo di Cristo si spezza per condividerlo con tutti a partire da chi ne ha più bisogno. La seconda parte della routine dello spezzare il pane, cioè la condivisione e l’opzione preferenziale per i poveri è la parte più divina, rivoluzionaria dell’amore cristiano: deve diventare vita quotidiana, altrimenti la prima parte diviene un rito inutile e blasfemo».